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LA LETTERA DI VINCENZO CANTERINI

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IO MI ASTENGO DAL COMMENTARE, MA  QUESTA LETTERA VA LETTA CON  UN MINIMO DI MASSA CRITICA

"Cari ragazzi il vostro Comandante è insieme a voi..."
(Ecco la lettera che Vincenzo Canterini ha inviato ai ragaz­zi del primo Reparto mobile condannati a Genova per i fat­ti della scuola Diaz.)

"Cari ragazzi del VII Nucleo,
l'anno 1999 fu un anno im­portante per il Reparto di Ro­ma, infatti unitamente ai nor­mali, gravosi e spesso perico­losi compiti che normalmen­te svolgevamo in ambito di Ordine Pubblico, ricevemmo l'importante incarico di pre­pararci per l'impegnativo ap­puntamento del G8 che si sa­rebbe svolto a Genova.
Ricevemmo un incarico si­milare per quanto riguardava tutti gli altri Reparti del Paese che a scaglioni vennero da noi e si addestrarono con il nostro stesso entusiasmo. Ricorde­rete senza dubbio l'atmosfera di quei giorni, si lavorava du­ramente ed in amicizia, era­vamo un gruppo (seppur nu­meroso) estremamente sere­no ed unito.
Chi scrive aveva spesso l'or­goglio dimostrare a tutti colo­ro che venivano al Reparto il grado di addestramento che avevamo raggiunto ed i pro­gressi che stavamo facendo.
In effetti, se ben ricordate, eravamo consapevoli di quanto era importante quello che ci era stato ordinato di fa­re, perché, nella nostra espe­rienza e nella nostra convin­zione, sapevamo benissimo che Poliziotti addestrati e mentalmente preparati sa­rebbero stati una garanzia so­prattutto per la corretta dife­sa dei cittadini oltre che per la nostra incolumità.
Arrivati a Genova ci siamo trovati a fare servizio nelle condizioni di disagio e di pe­ricolo che ci aspettavamo.
Abbiamo avuti i nostri feri­ti, i nostri ustionati, seguen­do quasi un istinto. che forse trascendeva dal semplice Do­vere Istituzionale; abbiamo buttato il cuore oltre  l'ostacolo profondendo il nostro corpo e tutte le  energie nel contrasto a      individui mascherati, violenti ,  organizzati, armati quanto e meglio di noi.
Dopo 18 ore  di servizio sia­mo stati chiamati di nuovo al­l'opera e ci hanno ordinato  di entrare in piena notte in un edificio che non conoscevamo, dicendoci probabilmente vi avremmo trovato occupanti decisi ed armati.
Io e voi sappiamo cosa è successo; ci siamo guardati più volte negli  occhi;
e guardandoti abbiamo capito quanto fosse  alta  la nostra professionalità  quanto alto il nostro   cameratismo e la dignità di ognuno di noi si riflettesse nello sguardo di tutti gli altri.   

Abbiamo perso una battaglia; ma quante volte ci siamo sentiti umiliati traditi, quante volte chi ci aggrediva pensava di averci sopraffatto e poi si accorgeva invece che  eravamo vivi e fieri di esser noi; quante volte abbiamo guardato in faccia i  nostri antagonisti e quante volte ab­biamo fatto in moda, anche se feriti nel corpo e nell'animo di dimostrare loro che i perdenti non eravamo noi, ma loro, che pensavano con la violen­za ed  il sopruso di poterci definitivamente sovrastare. Lasciamo tutte queste persone nei loro passamontagna con i loro bastoni, diamogli illusione di avere vinto e fac­ciamogli vedere che alla lun­ga saremo noi a vincere e po­tremo guardare nei loro occhi non con odio, che si riserva ad un nemico, ma con la serena consapevolezza della nostra innocenza.
Coraggio ragazzi, il vostro Comandante vi è vicino ed ancora indossa il casco insie­me a voi.
Ancora non ci hanno messo a terra."
Vincenzo Canterini

Questa è la lettera che Vincenzo Canterini ha inviato ai ragazzi del 1° Reparto Mobile, condannati a Genova per le finte molotov, i calci, gli sputi, le ingiurie, i pestaggi, violenze d'ogni genere e quanto altro fecero ai ragazzi nella scuola Diaz

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ROMA - Il questore Vincenzo Canterini, ex comandante del VII Nucleo mobile nei giorni del G8, condannato, insieme ai suoi capisquadra, a 4 anni di reclusione dal Tribunale di Genova per la mattanza della “Diaz”, sta rientrando a Bucarest, al suo ufficio di dirigente Interpol. Ha in mano una lettera, che pubblichiamo qui a fianco. Dice: “L’ho appena finita di scrivere ai miei ragazzi. Quelli che, da giovedì sera, pagano per tutti. Dei martiri civili”.

Di martiri civili e senza processo, alla “Diaz”, ce ne sono stati 93. Donne, uomini. Giovani, anziani. Erano inermi e innocenti.
“In questi sette anni, non c’è stato un solo giorno in cui non mi sia associato al giudizio che di quella notte venne dato dal mio vice, Michelangelo Fournier. Disse: “È stata una macelleria messicana”. E lo disse la prima volta che, insieme, fummo sentiti dal procuratore aggiunto di Genova, qualche giorno dopo i fatti. Cosa doveva dire di più? Il punto è che non sono io, non siamo stati noi i macellai di quella notte”.

Chi è stato allora?
“Me lo ha già chiesto in passato e glielo ripeto: non lo so. So però, e il processo lo ha dimostrato, che in quella scuola c’era una macedonia di polizia. Più di 400 tra agenti e funzionari. Il professor Silvio Romanelli, il mio avvocato, in aula, ha giustamente parlato della “notte del volontario”. Di decine, centinaia di agenti arrivati nella scuola comandati da non si sa bene chi e perché. Ma, in sette anni, si è preferito che il faro rimanesse puntato soltanto sul VII nucleo”.

È colpa forse della Procura o del metro di giudizio del tribunale se non si è riusciti a sfondare questo muro di omertà, o non invece di chi questo muro lo ha eretto proprio tra voi poliziotti? Di chi non sa, non ricorda, non ha visto.
“Non sono abituato a discutere il lavoro e le scelte dei magistrati e tanto più le sentenze che pronunciano. Dico però che se questo doveva essere l’esito, allora sono orgoglioso di aver ricevuto la condanna più alta. Perché è giusto che sia io a rispondere dei miei uomini. Anche di quello che non hanno fatto. Anzi, le dispiace se le leggo un brano della lettera che ho scritto ai miei uomini?”.

Legga.
“Il 21 luglio del 2001, dopo 18 ore di servizio, ci è stato ordinato di entrare in piena notte, in un edificio che non conoscevamo, e ci è stato detto che, probabilmente, vi avremmo trovato occupanti pericolosi ed armati. Io e voi sappiamo benissimo cosa è successo, ci siamo guardati più volte negli occhi. E guardandoci abbiamo capito la nostra professionalità, il nostro cameratismo, la nostra dignità”.

Mentre intorno a voi dei civili diventavano degli invalidi, ad esempio. Questo non lo ricorda.
“Guardi, io non ho intenzione di rifare il processo. Di ricordare in quale piano della scuola erano i nostri capisquadra e i nostri uomini. Cosa erano in grado di vedere o di impedire. Ma forse è utile sapere che per fare 93 feriti sono stati impiegati 4 minuti, il che è difficile per un reparto di 70 uomini. È utile sapere che all’interno di quella scuola io non sono neppure entrato. Che, quella sera, non indossavo neppure il casco. Non avevo il tonfa. Non avevo la pistola. Che il mio vice, entrato nella scuola, si tolse il suo di casco per gridare a uomini che non erano del VII di interrompere le violenze. Diciotto testimoni tra gli aggrediti presenti nella scuola, hanno riferito in aula che uomini del VII si adoperarono per soccorrere i feriti. Questa è forse una spedizione punitiva?”.

L’odio di quella notte avrà pure dei padri. Non crede?
“Io non odio nessuno. A Genova, abbiamo avuto i nostri feriti, i nostri ustionati e, come ho ricordato ai miei uomini, seguendo un istinto che forse trascendeva dal semplice dovere istituzionale, abbiamo buttato il cuore oltre l’ostacolo. Contro individui mascherati, violenti ed organizzati, quanto e forse meglio di noi”.

Alla Diaz, nessuno era mascherato e violento. I travisati e i violenti erano i poliziotti.
“Voglio solo dire che, in 41 anni di carriera immacolata, non sono mai caduto nella trappola dell’odio che chiama odio. Ai miei uomini del VII, oggi, dico questo. E mi scusi se leggo, ma anche a 60 anni, non ho perso la capacità di emozionarmi: “Abbiamo perso una battaglia. Ci siamo sentiti umiliati e forse traditi. Ma quante volte chi ci aggrediva pensava di averci sopraffatto e poi si accorgeva che invece eravamo vivi e fieri di esser noi. (…) Lasciamo tutte queste persone nei loro passamontagna e con i loro bastoni. Diamogli l’illusione di avere vinto e facciamogli vedere che alla lunga saremo noi a vincere perché potremo guardarli negli occhi non con l’odio, che si riserva ad un nemico, ma con la serena consapevolezza della nostra innocenza. Coraggio ragazzi il vostro comandante vi è vicino ed ancora indossa il casco insieme a voi. Ancora non ci hanno messo a terra”…”.

“Il vostro comandante indossa il casco con voi”. È una minaccia?
“Per carità. È orgoglio e fratellanza con i miei uomini”.

Chi sono “tutte queste persone nei passamontagna” a cui si riferisce? I suoi colleghi di quella notte?
“Chi vuole capire, capisca. Dico solo che i celerini saranno anche ignoranti, ma non sono stupidi”.

15 novembre 2008

fonte: http://www.repubblica.it/2008/11/sezioni/cronaca/g8-genova-5/parla-canterini/parla-canterini.html?rss

Dovrebbe essere la politica a battere ora un colpo, ma la scena che si scorge è avvilente. L'opposizione parlamentare appare afona e quando trova la voce, come con Antonio Di Pietro, è soltanto contraddittoria senza imbarazzi (l'Italia dei Valori bocciò la nascita della commissione parlamentare d'inchiesta che oggi pretende). La maggioranza mostra un volto prepotente fino all'insolenza. Maurizio Gasparri rifiuta ogni ipotesi di commissione d'inchiesta: "Non la voteremo mai. La maggioranza non ha alcuna intenzione di permettere una speculazione in Parlamento ai danni delle forze dell'ordine". Il presidente dei senatori della destra non si accontenta di sbattere la porta. Dimentico dei 93 arresti abusivi, delle prove artefatte, dei verbali truccati, degli 82 feriti, dei tre disgraziati in fin di vita, si dice convinto dell'innocenza di Canterini e del VII Nucleo antisommossa (per il tribunale di Genova sono i picchiatori della Diaz). Sarebbe davvero desolante, oltre che politicamente grave per la qualità della nostra democrazia, se la disponibilità del capo della polizia non venisse raccolta; se l'opportunità di ricostruire "i fatti di Genova" non trovasse alcun luogo istituzionale per essere acciuffata nell'interesse di una riconciliazione tra le forze dell'ordine e una generazione. Quale reticenza, quale viltà, quale convenienza potrebbe giustificarlo?


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